U brascir

Il ricordo della puzza di buccia d’arancia bruciata è vividissimo nella mia mente: risale dalla bocca dello stomaco e arriva agli occhi.

Fino a qualche anno fa i miei nonni hanno usato u brascir per scaldarsi, rifiutandosi categoricamente di accendere i riscaldamenti. U brascir è una grande coppa in rame nella quale si tiene la carbonella ad ardere. Ricorda il poggiapiedi-cane de La Bella e la Bestia, ma è tondo.

Prima che i nonni lo dismettessero, mia zia ci gettava le bucce d’arancia perché le piaceva il profumo; a me faceva venire da vomitare. In quella casa del fuoco mi sono sempre sentita fatta di troppa acqua.

La famiglia di mia madre, invece, è fatta di fuoco. Nelle liti familiari avvampano in una fiammata! Allo stesso tempo sono capaci della calda accoglienza di un focolare acceso quando fuori nevica.

Il fuoco che avvampa. Mi sono sempre chiesta come mai i nonni siano stati per anni così avversi all’idea di accendere i riscaldamenti. Diciamo che abbiamo delle belle teste dure in famiglia! Gli occhi di mia nonna lo dimostrano: neri, profondi, durissimi. Il suo aspetto e i suoi capelli così trascurati sembrano un difetto, ma nascondono l’indole di una donna combattiva. Per mio nonno la storia è un’altra: produceva carbone da giovane. È rimasto così legato a quel mestiere che ha continuato a produrre carbonella ad uso familiare persino quando il boom economico l’ha condotto a un’altra occupazione per la quale non c’era più da sporcarsi le mani.

Da quello che ho capito, si fa una montagna di terra sotto la quale si mette il legno a cucinare per ore e così si fa la carbonella, quella che si usa per la carne grigliata.

La grigliata è la seconda portata del pranzo della domenica.

Tu si nà zing’r! “Sei una donna trascurata”, questo urlano sempre a mia nonna le sue figlie. Le ricordano che si trascura, sia nell’aspetto sia nella cura della casa, che sembra quella di un rigattiere. Tra gli oggetti accumulati c’è il barbeque. Mia zia e mia madre lo avevano comprato in sostituzione della stufetta nella quale si cuoceva la carne. Il problema era la canna fumaria che non tirava bene e perciò si puzzava sempre di carne e fumo. La lite familiare era dietro l’angolo ogni domenica per rinfacciarsi i propri errori e la stufetta era la scusa migliore per accendere gli animi. Il barbeque sarebbe stato la panacea dei litigi: “così la carne si può fare fuori e non ci appuzziamo”. Mia nonna non l’ha mai usato e ci tiene le buste della spesa usate. E alla domenica si continua a litigare.

Una famiglia dal temperamento focoso, insomma. Scaldata da un braciere conteso sotto la tavola.

Mi sono sempre sentita estranea a questa famiglia di fuoco pensando di appartenere solo all’altra facciata, la famiglia di mio padre. Però oggi la mia psicanalista, dopo aver discusso di questioni completamente aliene a quelle familiari, mi ha detto: “Bene, questi ricordi hanno appiccato un fuoco in lei”. E per la prima volta nella mia vita ho sentito di avere anch’io il fuoco dentro.