Ursus Maritimus

Oggi i bipedi non hanno aspettato il sorgere del sole per darci da mangiare. Sebbene fossero solo le quattro del mattino, faceva un caldo infernale, tanto che non avevo chiuso occhio per quasi tutta la notte.
Il risveglio, però, fu migliore di quello che mi aspettassi: una foca gigantesca distesa davanti a me, pronta per sfamarmi. Non ne avevo mai mangiata una prima, anche se, grazie ai racconti del nonno, sapevo quanta soddisfazione desse all´indole cacciatrice e allo stomaco. Il mio stomaco, infatti, esultò come poche volte, ma il mio istinto cacciatore, al contrario, non provò nulla.
Non ho mai avuto la fortuna di cacciare un solo pesce. Non una volpe. O un lemming. Figuriamoci una foca.
Dopo averla mangiata non riuscivo a reggermi sulle zampe. Mi sarei accasciato al suolo per un bel pisolino, se solo non mi avessero trascinato con forza fuori dalla gabbia e rinchiuso, di nuovo, in una minuscola scatola di ferro. Così, all´improvviso.
Che cosa volevano farmi? Ero rabbioso, volevo uscire di lì. Mi mancava il fiato, stavo male. Cominciai a rugliare e, finalmente, aprirono la scatola, ma non mi liberarono. M’infilzarono invece nel collo una specie di lisca di pesce. In pochi secondi crollai in un sonno profondissimo.
Mi svegliai dopo un po’, non so quanto, così assopito da non rendermi conto di dove mi avessero portato. Ero disteso a terra. Solo. Circondato da una decina di bipedi. Avevo le zampe completamente bloccate e perso il controllo del mio corpo. Nel frattempo strani rumori taglienti giungevano alle mie orecchie, come di forbici, lame di coltelli e pinze. I bipedi parlavano e discutevano tra di loro. D´improvviso sentii uno sparo. Un altro. E un altro ancora. Poi silenzio.
Cominciai finalmente a muovere le zampe e ad aprire la bocca. Lentamente mi alzai e mi accorsi di essere in un ambiente sconosciuto. I bipedi non c´erano più. Con una violenta zampata ruppi la porta di quella stanza e andai fuori. Dopo mesi di prigione potevo finalmente correre, non ci credevo. Tutto intorno a me era bianco, quel bianco paesaggio in cui ero nato: il Canada. Un freddo pungente accarezzava la mia pelliccia. Stavo divinamente. In lontananza scorsi il nonno. Aveva appena cacciato una foca e, venendomi incontro, disse: “Vieni figliolo, da oggi comincia per te una nuova vita: ti insegnerò a cacciare!”
Andammo insieme sulle rive della baia di Hudson e, non appena vidi l’acqua, mi ci tuffai. Quell’acqua era fresca, dolce. Profumava di libertà.

(di Maria Chiara Costa)