Amor, ch’a nullo amato amar perdona

Tendo la mano tersa di sangue verso la lavagna. Il colore nero dell’ardesia in contrasto col rosso di cui sono impregnate le mie dita si staglia con arroganza contro i miei occhi cadaverici, provocandomi una sensazione di bruciore.
Sento gli sguardi dei miei compagni puntati su di me mentre cerco di risolvere l’equazione: tra quelli c’è anche il suo. Lo sento infilarsi tra le pieghe della maglietta, straziandomi la carne.
Sento la lama del suo giudizio penetrarmi l’epidermide, accarezzandomi gli organi vitali con la sua punta metallica, resa affilata da anni di popolarità e occhiate frettolose e indecenti lanciate da ragazzini prepuberi dall’erezione facile. Il gessetto nella mia mano lascia il posto a un grumo di sangue che solo ad una seconda e più attenta occhiata si rivela essere il mio cuore.
Grido, ma dalla mia bocca esce solo un rumore fioco, udibile solo da me, percepibile da tutti.
Sento i volti dei miei compagni deformarsi in un unico ghigno, pregno di violenza e derisione. I denti storti e gli apparecchi metallici rifrangono una luce inquietante.
Vedo, con l’orrore negli occhi, le mie unghie contro la lavagna seguire un moto verticale verso il basso, premendo con forza contro il freddo materiale nero. Un suono, simile a un urlo, alieno e agghiacciante, mi invade i timpani, e sfonda la labile barriera che mi permette di decidere quello che voglio o non voglio sentire.
Le frequenze s’intrecciano in tutta la loro sgradevolezza, senza però mescolarvisi, con gli insulti e i commenti lungo i corridoi, con l’arroganza delle risatine e delle gomitate falsamente innocue gomitate di turpi avvoltoi appollaiati sulle finestre delle scarne e invernali aule dei laboratori di chimica, rendendo quel suono più familiare e allo stesso tempo più terribile, pressante quasi nel suo carattere di quotidianità.
Ritraggo le mani, ma il rumore persiste, testardo. In un attimo capisco, sento gli angoli delle loro bocche incresparsi in una maschera terribile e pallida, provocando un rumore stridulo e assordante, quasi come se la loro pelle fosse un gelido materiale metallico e latrante che si accartoccia moribondo sotto una pressione esterna.

Nessuno me l’aveva detto, nessuno mi aveva avvertito di com’è innamorarsi a sedici anni.