L’archivio

Non si ricordava come aveva cominciato, ma non era importante, avrebbe potuto controllare nei suoi archivi se ne avesse avuto bisogno. Perché era questo che faceva: archiviare. Ordinava, registrava e catalogava IL momento privilegiato di ogni esperienza che aveva avuto: l’inizio, l’incipit, l’esordio, la scintilla primordiale, quell’istante che gli procurava l’inesprimibile brivido. Era QUEL brivido che indagava, facendo ogni giorno una cosa che mai aveva fatto prima. Aveva provato di tutto: sport estremi, amori improbabili, posti irraggiungibili; scandagliato ogni novità, ogni sua ignoranza esperienziale, tentando di colmare tutte le lacune nel suo vivere quel brivido. Ora era piuttosto avanti con l’età; il suo studio era però ancora ben lontano dall’essere concluso, e ciononostante iniziavano a scarseggiare le opportunità di fare nuove cose. Arrivò un giorno in cui davvero non seppe più che tentare. Ruminò possibilità fra i suoi emisferi, e gli vennero in mente solo cose ripugnanti. Che però non aveva mai fatto, e allora una ad una le provò, poi le archiviò, ma presto esaurì anche quella fonte. E tornò il dubbio: che fare? Mentre con i piedi svitava una caffettiera, per poi riempirla di acqua che aveva tenuto in bocca, mettere la polvere utilizzando bastoncini di osso, riavvitare con la mano sinistra mentre sbatteva le palpebre a ritmo di valzer e accendere il gas in equilibrio su una sola gamba (così il caffè non lo aveva mai preparato), giunse l’attesa illuminazione. Ancora non aveva mai parlato con nessuno del suo lavoro, della sua missione di fare e catalogare sempre e solo cose nuove, per costruirsi un percorso di esperienze tanto ampio da coprire ogni scibile umano! Così aprì la porta di casa in cerca di orecchie, e trovò un bambino che giocava con delle macchinine. Poteva andare. Lo avvicinò – era il figlio della vicina, lo conosceva – e dopo averlo salutato e interrogato per cortesia sull’andamento del suo fare vroom vroom gli raccontò di sé e della sua occupazione. Il bambino – avrà avuto circa otto anni – lo ascoltò attento, con la bocca semiaperta di chi è troppo concentrato poi, quando l’archivista ebbe finito di spiegare, annuì serio per poi tornare a giocare. Dopo qualche secondo – mentre l’archivista già iniziava a dare segni di impazienza – senza alzare lo sguardo il bambino disse: “Insomma, se ho capito bene, fai sempre la stessa cosa?”

(di Carlo Zambotti)