Mille978

Oggi ho ricevuto istruzioni. Erano scarabocchiate sulla multa per una Fulvia Coupè in divieto di sosta.

Ho ficcato in tasca il foglietto, la regola del burn after reading non fa per me, ho poca memoria. Più tardi, davanti alla macchina da scrivere, le ho lette e rilette con calma.

Io sono specializzato in trasferimenti. Logistica. Sposto cose. Mi concentro e inizio a definire un piano di lavoro.

Dopo l’ufficio farò una deviazione per ritirare la merce. Poi mi fermerò a fare la spesa, se mi rimane spazio in auto.

Carico tre pacchi pesanti, avvolti nella carta. Profumano di deodorante. Ci sistemo accanto le borse colme di cose buone per noi due. Preparerò piadine per cena, e il San Daniele vince sull’odore artificiale.

A casa la trovo a leggere, esattamente dove l’ho lasciata, al centro della stanza. L’abbraccio e la bacio in faccia. Lei è il motivo per cui ancora riesco a mantenermi lucido. Solo pensando a lei trovo la forza di fare ciò che mi chiedono.

Le inserisco il vassoio tra i braccioli della sedia, taglio la piadina a quadretti e glieli metto in bocca lentamente. Nutrirla mi aiuta a rimanere sano di mente.

In TV parlano di un sequestro. Rosso, nero, non cambia niente. Poi vedo poliziotti che caricano, volano sassi, bottiglie, candele fumogene. Rifletto sulle conseguenze di tutto questo sul mio salario, ma non voglio soffermarmi sui volti delle persone. Spengo quando compare in primo piano quello che ho spostato quella volta all’inceneritore.

Devo portare la merce a destinazione. Quando manca poco, spengo i fari e avanzo scortato da due cagnacci rognosi. I pacchi cadono giù nel pozzo asciutto, come pietre tra l’erba, e i cani guaiscono. Niente cena. Butto giù la calce, ghiaia e poi acqua.

Quando lavoro con certi personaggi atteggiati, fondina e occhiali scuri, io li trovo penosi. Le maschere sono inutili con quello che ci fa lavorare. Nel suo libro paghe c’è anche quel mezzo gobbo per cui hanno votato l’ultima volta. Non che segua la politica, è che la vivo troppo da vicino.

Ancora lavoro per me: al notiziario mi citano senza volerlo per quella doppia esecuzione. Questa volta il colore è rosso: un’oscura sigla rivendica il merito. Sono virtualmente famoso.

Una sera al citofono mi danno un indirizzo. Devo guidare a lungo e rimango in attesa in un parcheggio isolato. Arriva un’Alfetta dei Carabinieri, si ferma lontano da me, il conducente scende. Riesco a vedere almeno altre tre persone nell’auto.

Si accende una sigaretta e getta – che patetico – il cerino dentro il finestrino aperto. Si alza il bavero e se ne va, in direzione dell’uscita. Peccato che questo non sia un poliziesco e tu non sia il giustiziere della notte, stronzo.

Annaffio con il combustibile l’auto e i corpi abbandonati all’interno, stravolti dai colpi ricevuti. L’abitacolo è invaso da fogli di carta, volantini di protesta. Bruceranno benissimo. Posiziono l’innesco e mi allontano. Sono stordito dalle esalazioni ma resto a guardare l’auto che salta e si capovolge, mentre un’onda calda e puzzolente si sparge intorno. Si alza veloce una colonna di fumo oleoso, nero e ruggente.

Giustificare l’esplosione non fa parte dei miei compiti. Il capo ha un ufficio stampa che funziona. Io qui ho finito. Stasera pensavo di fare un risotto. A lei piace molto.